Piero Scandura

Piero Scandura vive e lavora a Fosdinovo (MS), ha conseguito presso l’Accademia Belle Arti di Carrara il diploma di pittura, come allievo del Maestro Umberto Buscioni, nonché il diploma di specializzazione in “Arte visiva e disciplina dello spettacolo”.
Attualmente è docente di ruolo nella disciplina “Arte e immagine”, presso il Ministero della Pubblica Istruzione.
L’esperienza didattica e pittorica vissuta in Accademia non poteva non essere influenzata dal carisma e dalla personalità del maestro Umberto Buscioni di cui ha apprezzato l’arte, la profondità e la forza comunicativa.
L’attività dell’Atelier di Carrara, l’incontro con Giorgio Di Genova e Guglielmo Gigliotti, la vicinanza di Lattanzi e la collaborazione con gli altri artisti del gruppo hanno caratterizzato l’attività pittorica dei suoi primi anni incentrata sul segno, in particolare sulla “scrittura automatica”, presentata nella mostra “Pensieri in corso” presso quella Galleria, punto di riferimento negli anni ’80-’90 di molte delle sperimentazioni artistiche dell’area Apuana.

Il suo percorso pittorico inizia, quindi, evocando, con quadri simbolico-surrealisti, a cui seguono quadri/scritte, messaggi da un altrove, che è anche un dentro di sé; per passare a quadri/stanze aperte, stanze con pareti di alberi da cui entra/esce la luce, stanze mimetizzate nella natura, che si fanno tali solo per la presenza sottesa dell’umano o meglio delle sue sedute.

Nel 2009 nasce il ciclo dei lavori dedicati alle “Stanze”, presentati con una personale che avrà lo stesso titolo (a cura di Renato Carozzi). Nella poesia, come nella musica, “stanza” sta ad indicare una porzione di una grande composizione. In De Chirico la “stanza” è uno spazio metafisico, il mondo delle idee dove gli oggetti dialogano tra loro.
“Stanze” indica quella ricerca visiva e compositiva con chiara impostazione metafisica, dove l’oggetto d’arredamento diventa pretesto per raccontare ciò che supera lo spazio reale.
Nei lavori del periodo, l’artista costruisce/immagina un luogo dedicato all’incontro con l’altro. Si aprono allora quadri/stanze in cui compare la sedia/le sedie, immagine di un sé in attesa ma anche simbolo arcaico dell’accoglienza dell’altro. Stanze come luoghi familiari e nello stesso tempo alieni, dove le emozioni sono rarefatte; “angoli” come momenti di vita sospesa, spazi abitati da qualcuno che si fa assente per aprirsi all’altro diverso da sé, dove non c’è paura perché non c’è chiusura.

Quello che magicamente appare, nella ricchezza dei colori che si fanno colonna sonora, è uno spazio neutro ma profondamente umano, disposto per favorire una intimità accogliente, che invita e rassicura: Si avverte anche la presenza di ombre, di proiezioni fantastiche che rappresentano la traccia di un passato o di un passaggio temporale presente e futuro che si inseguono ma che non possono coesistere.

Nel 2012 l’artista affronta il tema de “i non luoghi” . Il sociologo Marc Augè negli anni ‘90 aveva coniato il neologismo “non luogo” per indicare tutti quegli spazi pubblici che non presentano una identità antropologica, legata alla presenza umana ma che sono piuttosto luoghi di passaggio anonimi e impersonali. La peculiarità di questi “non luoghi” è che essi influenzano lo stato d’animo di coloro che vi transitano, contagiandoli con la loro stessa alienante atmosfera. Scandura presenta nella mostra di Palazzo Ducale a Massa (a cura di Cinzia Compalati), una serie di opere che sembrano indagare proprio i “nonluoghi”, subendo il fascino alienante del concetto e dell’idea. Ma il temperamento amabile ha il sopravvento, l’azione segue l’ispirazione, Apollo e Dioniso complici. Negli anni successivi, la serie di opere intitolata “tree-chair” propone una ricerca di equilibrio tra identità ed astrazione, tra vuoto e pieno, tra colore e forma. Quel concetto e quella ricerca hanno portato l’artista ad individuare un oggetto (chair) e ad inserirlo in un contesto diverso, in uno spazio di dimensioni non definite, un “chiuso-aperto” in cui prevale la figura dell’albero (tree): questo non inteso come albero della vita o simbolico, piuttosto come mezzo per una ricerca formale partendo dall’idea stessa di albero per arrivare ad evidenziarne la struttura con colori decisi e velature sottili. In questo ciclo di lavori il rapporto con l’oggetto non è più in chiave metafisica e surreale come nelle serie “stanze” e “nonluoghi”, dove gli oggetti e la composizione erano protesi verso una dimensione estetica ed emozionale ampliata con naturalezza verso l’architettura, la grafica e il design. Il progetto “tree-chair” riporta l’attenzione sul colore, sul segno astratto e sull’energia che la pittura stessa da sempre richiama.

Nelle opere “Le vele – Rooms and sea”, del 2019/2020, il dualismo io/l’altro appare in una nuova forma. Non c’è più l’attesa, ottimista, solare ma pur sempre fissa. C’è la Vela, audace, allegra, colorata, gonfia di vita; lo spazio intorno, anch’esso dinamico, ricco di luce e colore.
C’è un impianto scenico aperto, che si schiude verso un mondo senza confini, con il quale condivide la stessa meraviglia. Moderna Wunderkammer.
Il doppio non è più solo io/altro, ora si esprime in infinite forme: spazio/tempo, stanze/mare, vela/acqua, terra/cielo, fuoco/aria, rosso/blu, luce/ombra, io/es, presente/futuro.
Gli opposti non sono solo complementari ma partecipano della stessa realtà, sono la realtà. Ma il reale dov’è? in chi osserva? nel quadro? nel quadro oltre il quadro? Puro cinema cristallizzato.

“Le sedute fredde – Io sono io… e l’enigma del colore”. Il colore non è solo proprietà sensibile dei corpi ma un fenomeno complesso, con una intrinseca disposizione all’ambiguità e alla polivalenza, una costante archetipica ma anche molteplici implicazioni culturali. Anche l’oggetto, sia esso il più domestico o il più sofisticato, possiede la stessa natura perché, specie quando raffigurato o immaginato, soccombe alla potenza evocativa dell’inconscio.
Qual’è il rapporto, quindi, tra il colore e l’oggetto rappresentato, inteso come simbolo e disvelamento dell’Io? In questo duplice enigma sta, forse, la fascinazione ipnotica delle ultime opere di Piero Scandura, nelle quali si assiste, spettatori attoniti, al perenne scontro/incontro tra il dentro e il fuori, il freddo e il caldo, il detto e il non detto.

Piero Scandura

Piero Scandura vive e lavora a Fosdinovo (MS), ha conseguito presso l’Accademia Belle Arti di Carrara il diploma di pittura, come allievo del Maestro Umberto Buscioni, nonché il diploma di specializzazione in “Arte visiva e disciplina dello spettacolo”.
Attualmente è docente di ruolo nella disciplina “Arte e immagine”, presso il Ministero della Pubblica Istruzione.
L’esperienza didattica e pittorica vissuta in Accademia non poteva non essere influenzata dal carisma e dalla personalità del maestro Umberto Buscioni di cui ha apprezzato l’arte, la profondità e la forza comunicativa.
L’attività dell’Atelier di Carrara, l’incontro con Giorgio Di Genova e Guglielmo Gigliotti, la vicinanza di Lattanzi e la collaborazione con gli altri artisti del gruppo hanno caratterizzato l’attività pittorica dei suoi primi anni incentrata sul segno, in particolare sulla “scrittura automatica”, presentata nella mostra “Pensieri in corso” presso quella Galleria, punto di riferimento negli anni ’80-’90 di molte delle sperimentazioni artistiche dell’area Apuana.

Il suo percorso pittorico inizia, quindi, evocando, con quadri simbolico-surrealisti, a cui seguono quadri/scritte, messaggi da un altrove, che è anche un dentro di sé; per passare a quadri/stanze aperte, stanze con pareti di alberi da cui entra/esce la luce, stanze mimetizzate nella natura, che si fanno tali solo per la presenza sottesa dell’umano o meglio delle sue sedute.

Nel 2009 nasce il ciclo dei lavori dedicati alle “Stanze”, presentati con una personale che avrà lo stesso titolo (a cura di Renato Carozzi). Nella poesia, come nella musica, “stanza” sta ad indicare una porzione di una grande composizione. In De Chirico la “stanza” è uno spazio metafisico, il mondo delle idee dove gli oggetti dialogano tra loro.
“Stanze” indica quella ricerca visiva e compositiva con chiara impostazione metafisica, dove l’oggetto d’arredamento diventa pretesto per raccontare ciò che supera lo spazio reale.
Nei lavori del periodo, l’artista costruisce/immagina un luogo dedicato all’incontro con l’altro. Si aprono allora quadri/stanze in cui compare la sedia/le sedie, immagine di un sé in attesa ma anche simbolo arcaico dell’accoglienza dell’altro. Stanze come luoghi familiari e nello stesso tempo alieni, dove le emozioni sono rarefatte; “angoli” come momenti di vita sospesa, spazi abitati da qualcuno che si fa assente per aprirsi all’altro diverso da sé, dove non c’è paura perché non c’è chiusura.

Quello che magicamente appare, nella ricchezza dei colori che si fanno colonna sonora, è uno spazio neutro ma profondamente umano, disposto per favorire una intimità accogliente, che invita e rassicura: Si avverte anche la presenza di ombre, di proiezioni fantastiche che rappresentano la traccia di un passato o di un passaggio temporale presente e futuro che si inseguono ma che non possono coesistere.

Nel 2012 l’artista affronta il tema de “i non luoghi” . Il sociologo Marc Augè negli anni ‘90 aveva coniato il neologismo “non luogo” per indicare tutti quegli spazi pubblici che non presentano una identità antropologica, legata alla presenza umana ma che sono piuttosto luoghi di passaggio anonimi e impersonali. La peculiarità di questi “non luoghi” è che essi influenzano lo stato d’animo di coloro che vi transitano, contagiandoli con la loro stessa alienante atmosfera. Scandura presenta nella mostra di Palazzo Ducale a Massa (a cura di Cinzia Compalati), una serie di opere che sembrano indagare proprio i “nonluoghi”, subendo il fascino alienante del concetto e dell’idea. Ma il temperamento amabile ha il sopravvento, l’azione segue l’ispirazione, Apollo e Dioniso complici. Negli anni successivi, la serie di opere intitolata “tree-chair” propone una ricerca di equilibrio tra identità ed astrazione, tra vuoto e pieno, tra colore e forma. Quel concetto e quella ricerca hanno portato l’artista ad individuare un oggetto (chair) e ad inserirlo in un contesto diverso, in uno spazio di dimensioni non definite, un “chiuso-aperto” in cui prevale la figura dell’albero (tree): questo non inteso come albero della vita o simbolico, piuttosto come mezzo per una ricerca formale partendo dall’idea stessa di albero per arrivare ad evidenziarne la struttura con colori decisi e velature sottili. In questo ciclo di lavori il rapporto con l’oggetto non è più in chiave metafisica e surreale come nelle serie “stanze” e “nonluoghi”, dove gli oggetti e la composizione erano protesi verso una dimensione estetica ed emozionale ampliata con naturalezza verso l’architettura, la grafica e il design. Il progetto “tree-chair” riporta l’attenzione sul colore, sul segno astratto e sull’energia che la pittura stessa da sempre richiama.

Nelle opere “Le vele – Rooms and sea”, del 2019/2020, il dualismo io/l’altro appare in una nuova forma. Non c’è più l’attesa, ottimista, solare ma pur sempre fissa. C’è la Vela, audace, allegra, colorata, gonfia di vita; lo spazio intorno, anch’esso dinamico, ricco di luce e colore.
C’è un impianto scenico aperto, che si schiude verso un mondo senza confini, con il quale condivide la stessa meraviglia. Moderna Wunderkammer.
Il doppio non è più solo io/altro, ora si esprime in infinite forme: spazio/tempo, stanze/mare, vela/acqua, terra/cielo, fuoco/aria, rosso/blu, luce/ombra, io/es, presente/futuro.
Gli opposti non sono solo complementari ma partecipano della stessa realtà, sono la realtà. Ma il reale dov’è? in chi osserva? nel quadro? nel quadro oltre il quadro? Puro cinema cristallizzato.

“Le sedute fredde – Io sono io… e l’enigma del colore”. Il colore non è solo proprietà sensibile dei corpi ma un fenomeno complesso, con una intrinseca disposizione all’ambiguità e alla polivalenza, una costante archetipica ma anche molteplici implicazioni culturali. Anche l’oggetto, sia esso il più domestico o il più sofisticato, possiede la stessa natura perché, specie quando raffigurato o immaginato, soccombe alla potenza evocativa dell’inconscio.
Qual’è il rapporto, quindi, tra il colore e l’oggetto rappresentato, inteso come simbolo e disvelamento dell’Io? In questo duplice enigma sta, forse, la fascinazione ipnotica delle ultime opere di Piero Scandura, nelle quali si assiste, spettatori attoniti, al perenne scontro/incontro tra il dentro e il fuori, il freddo e il caldo, il detto e il non detto.

Crea con noi l'arte della collaborazione

Sei un artista ed un creativo e la sedia diventa la tua musa ispiratrice? Museo Della Sedia mette a disposizione uno spazio per fotografi, pittori, scultori, architetti, designer, stilisti… Potresti essere selezionato anche tu.

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Pozzi & Verga Gigi Pepe Tanzi Tabù 1980 Pozzi & Verga Gigi Pepe Tanzi Tabù 1980